Omaggio a Carlo Scarpa

Naturalmente il cielo è alto, e come sospeso.
So, che prima di arrivare al cuore del luogo, devo compiere il giro del muro, seguire i rimandi che dà, percorrere all'interno le direttrici, e da lì giungere ai fulcri nodali.
Il recinto fortilizio annuncia sacralità.
Il volume chiuso, accentuato dai muri inclinati, si apre a tratti grazie a lunghi stretti tagli, dove lo sguardo viene indirizzato su un solo particolare; il muro è ossessivamente corroso nell'angolo, dove, invece che irrobustirsi si trafora. Recinto fortilizio che ricorda e cita se stesso.
Lo ricordo il mattino di alcuni anni fa. Il passo lento come per un'iniziazione, mentre varcavo la soglia del cimitero Brion a San Vito d'Altivole.
L'interno richiede silenzio. Non solo perché stranieri in una città non propria, ma perché maggiore diventa l'ascolto verso la narrazione: propilei che con andamento a forbice cingono la cappella, uno dei nodi della composizione, percorsi coperti che inquadrano particolari architettonici, il padiglione della meditazione galleggiante su uno specchio d'acqua, il grande prato su cui posa l'arcosolium; episodi architettonici collegati concettualmente dalla ripetizione di elementi, dagli angoli scavati, alla ricerca di una più profonda verità della materia da scoprire e da svelare.
Il mistero è esaltato nell'arcosolium; il maestro tocca, nel punto alto della narrazione, i frattali del nostro vivere, l’amore la morte.
Direttamente dalla terra si imposta l’arco ribassato, con una chiara allusione a una continuità e strutturale e simbolica che è sotto, e che non è dato indagare; forse è la parte terminale di un cerchio, motivo che si incontra all’inizio del percorso del cimitero, oppure è una sorta di raffinato dolmen, un “inutile” portale su una porzione di cielo, una soglia cosmica che si vorrebbe saper varcare.
Il grande arco non solo, banalmente, protegge e ripara i sarcofagi dei committenti, ma incornicia ed esalta la rotazione che è alla base di questi, e che tende ad avvicinarli eliminando il filo a piombo, come se anche nella rigidità della morte restasse questa tensione verso l'altro, questo amore che non ingloba, ma delicatamente avvicina.

Ricordo: lasciai il luogo piena, di emozione , mi diressi con gli amici verso altre mete, ed ecco, mi accorsi, mentre il giorno finiva, di aver smarrito un prezioso orecchino, una sfera d'oro traforata che ne portava un'altra di ambra lucente.
Iniziai un'altra ricerca, avvolgendo tra le mani il ricordo della intensa giornata.
Tornai ai luoghi attraversati, alcuni noti e altri no, spinta da una speranza infantile o forse dal desiderio di ripercorrere a ritroso le varie tappe, fino alla prima, al cimitero
Brion, fino al prato dell'arcosolium. Lì la vidi. La sfera d'ambra affiorava dal terreno riflettendo l'ultima luce .
Ecco, io sono certa che si trattò di una magia, che il maestro avesse voluto richiamarmi per regalarmi ancora una volta il suo racconto.
Mi inchinai raccogliendola. Promisi che ne avrei scritto.